Esposizione della donazione della famiglia Ratti di Desio
Dal 24 settembre 2020
Museo del Merletto di Burano
La prima sala del percorso espositivo del Museo del Merletto di Burano conserva e presenta ora al pubblico la donazione della famiglia Ratti di Desio, ovvero l’abito e gli accessori indossati da Angela Maria Crespi il 15 ottobre 1934, data delle sue nozze con il conte Franco Ratti, allestite nella sala del Concistoro in Vaticano e solennemente celebrate da papa Pio XI, zio dello sposo.
Questa scelta espositiva è particolarmente motivata e legata al Museo del Merletto di Burano per via del coevo velo nuziale, finissimo capolavoro eseguito interamente a mano, anzi, ad ago, da esperte maestre merlettaie veneziane, dono dei funzionari e degli impiegati del Governatorato della Città del Vaticano, commissionato alla celeberrima ditta Olga Asta & Co. di Venezia.
Tanto prezioso che, come riportano le rubriche di cronaca mondana, fu consegnato in un artistico cofano di velluto bianco stemmato e accompagnato da un album con tutte le firme; tanto pregiato che, nel 1938, fu prestato all’Esposizione di Arte Decorativa Italiana organizzata a Buenos Aires, come risulta dalla documentazione conservatasi in allegato a questa donazione.
Contrariamente a quanto ci si possa aspettare, il velo non è eseguito né a punto Venezia né a punto Burano, bensì emulando il point de Gaze, la cui peculiarità risiede nella diafana rete di fondo a maglie esagonali.
Data la sua notevole estensione, tre metri circa, è composto da più elementi eseguiti allo stesso tempo, ciascuno da un’abile maestra merlettaia, successivamente assemblati con giunzioni celate lungo i bordi dei decori floreali.
Questi ultimi, realizzati contemporaneamente al fondo, hanno profili in rilievo e sono resi con effetto chiaroscurale grazie all’alternanza di punti più o meno fitti o radi, mentre una certa tridimensionalità è data in virtù di alcuni petali preparati a parte e poi invisibilmente cuciti alla base della corolla, liberi quindi lungo il margine smerlato.
Dettaglio distintivo è l’inserimento al centro dello stemma della famiglia Ratti di Desio, combinazione tra quello papale e quello comitale.
Mentre il velo ricalca stilemi ottocenteschi, la foggia dell’abito da sposa è quella in voga negli anni ’30 del ‘900: abbandonata la linea floscia anni ’20 dal punto vita calato sui fianchi e con l’orlo audacemente accorciato alle caviglie, la silhouette si è ridotta all’essenziale, avvolgendo con aderenza il corpo, munita di colletto pieghettato a fascetta e maniche lunghe sino ai polsi.
L’abito, calzante come un morbido guanto, è reso indossabile solo grazie a minute e celate chiusure metalliche a gancetti e asole, posizionate lungo i polsi, sul retro del collo e sulla spalla sinistra.
Confezionato in tessuto crêpe satin color avorio, ovvero liscio e lucente sulla superficie in vista, crespo e opaco sul retro, è dotato di uno strascico che si estende per ben tre metri, a punta stondata e munita di quattro asole, per essere raccolto e sostenuto a mano durante gli spostamenti della sposa.
Complementare all’abito è la sottoveste, del medesimo tessuto dell’abito e fornita sul retro di pesanti dischetti metallici atti a mantenerne intatta la linea; entrambi sono opera della sartoria milanese Fumach-Medaglia che, come testimonia la scatola originale inclusa nella donazione, proponeva confezioni e pelliccerie su modelli propri e di Parigi, oltre ad essere fornitrice ufficiale dei Savoia e della Real Casa di Bulgaria.
Accessori infine sono un paio di scarpe décolleté con cinturino fermato al piede del collo da un bottoncino prezioso, opera del calzaturificio Manina Antonio di Milano, in cuoio bianco rivestito in raso abbinato all’abito.
A coronamento, un diadema circolare ben calato sulla fronte, poco al di sopra dell’arco sopraciliare, in tulle montato su armatura metallica e costellato di ceree zagare, i proverbiali fiori d’arancio a volte fioriti, altre in bocciolo.